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Riconosci la violenza

La violenza non è fatta solo di pugni, assume anche altre forme più difficili da riconoscere, ma ugualmente pericolose per te: la violenza psicologica ed economica.
Prova a rispondere a queste semplici domande.

Un uomo a te vicino di cui ti fidi, il tuo partner o il tuo “ex”:

  • Ti offende e ti umilia verbalmente, convincendoti che non vali niente?
  • Ti accusa di essere una pessima madre?
  • Fa leva sulle tue debolezze e tenta continuamente di farti sentire inadeguata?
  • Controlla le tue telefonate, i tuoi spostamenti, chi frequenti?
  • Ti impedisce di vedere i tuoi famigliari, coltivare le tue amicizie e i tuoi interessi?
  • Ti impedisce di lavorare?
  • Ti minaccia e ti spaventa?
  • Esige un conto in banca congiunto e controlla le tue spese o ti impedisce di prelevare?
  • Vuole renderti dipendente da lui economicamente?
  • Pretende rapporti sessuali anche quando non li vuoi?
  • Ti ricatta o ti minaccia per ottenere ciò che vuole?

Questo elenco non ha la pretesa di essere esaustivo ma se hai risposto affermativamente a più di una di queste domande e ti riconosci in uno o più sintomi, il tuo è un rapporto a rischio e forse stai subendo un rapporto violento e potenzialmente pericoloso.

La violenza maschile contro le donne è un reato, in tutte le sue forme.
Non sei da sola, la legge ti tutela e ti protegge.

I maltrattamenti contro le donne hanno luogo quasi sempre all’interno delle mura domestiche e gli aggressori più probabili sono il partner, un ex partner o altri uomini conosciuti. La violenza si presenta in varie forme non sempre facilmente identificabili: i maltrattamenti non sono solo fisici o sessuali, ma anche psicologici ed economici.
La violenza si sviluppa in modo graduale, quasi sempre crescente e ciclico. Gli episodi violenti crescono di intensità nella vita quotidiana fino allo scoppio della tensione, a cui segue un periodo di apparente riconciliazione. Dopo l’episodio di violenza il maltrattante spesso si calma e cerca di «farsi perdonare» giurando che non succederà più, ma non sarà così. Infatti, a breve si verifica un primo, nuovo episodio di minacce, aggressioni verbali, umiliazioni, percosse. Questa spirale si alimenta e cresce d’intensità a ogni nuovo ciclo. È molto pericolosa e può sfociare nell’omicidio della donna. Ogni anno se ne registrano centinaia di casi.
La speranza che il partner cambi, che tutto «torni come prima», è spesso la ragione principale che tiene per anni le donne vittime di maltrattamenti al fianco del partner violento. La donna che subisce maltrattamenti spesso fatica a riconoscere che ciò che sta vivendo è violenza. Tenderà a minimizzare, sentirsi in colpa e nascondere ciò che le sta accadendo, vivendo in uno stato d’ansia permanente e di profondo disagio psicologico.
La violenza contro le donne rappresenta una delle principali cause di morte delle donne in tutto il mondo senza distinzione d’età, livello d’istruzione o classe sociale. In Italia ogni due giorni viene uccisa una donna per mano del proprio partner attuale o ex.

Tutti i comportamenti che fanno parte della spirale della violenza costituiscono reato: non solo la violenza fisica, ma anche le minacce, i ricatti, l’imposizione di rapporti sessuali non desiderati, il controllo esercitato sui rapporti sociali della partner, sul suo conto corrente, il suo abbigliamento, le sue telefonate e i suoi movimenti.

Un’altra forma di maltrattamento da segnalare è quella dei casi in cui l’uomo non accetta la fine la fine della relazione. Reagisce allora con minacce, telefonate e messaggi ossessivi, appostamenti sotto casa di lei o sotto il suo posto di lavoro. Anche questo comportamento persecutorio, noto come stalking, costituisce reato ed è pericoloso quanto il precedente. Spesso l’uomo promette di rinunciare a insistere se gli verrà concesso un «ultimo chiarimento», ma questo è uno dei momenti più pericolosi: molte donne sono state assassinate durante quello che doveva l’ultimo appuntamento chiarificatore, alcune anche in luoghi pubblici e affollati che loro stesse avevano scelto sperando così di proteggersi.

 

I dati sulla violenza in Lombardia

In Lombardia, nell’anno 2022 (fonte: rilevazione ISTAT 1° gennaio 31-dicembre 2022), le donne in carico ai centri antiviolenza sono state 3.086.
Le donne occupate, in forma stabile o precaria, sono più della metà di quelle che si rivolgono ai servizi antiviolenza (55,5%). Possiedono un titolo di studio medio o medio-alto. Nel complesso le donne con un diploma di scuola secondaria superiore (44,31% nel 2022 contro 36,8% nel 2021) e di laurea (15,5% nel 2022 contro 13,5% nel 2021) costituiscono più della metà dei casi, e il livello di scolarizzazione tende a crescere nel tempo.
Dal punto di vista dello stato civile, risulta che sono coniugate il 39,61% delle donne vittime di violenza maschile, mentre risultano anagraficamente nubili per il 40,45%. Il 50,44% di loro ha figli/e minori. Sono prevalentemente cittadine italiane (65,2%), in minima parte di altri paesi Ue (4,27%) e provenienti da paesi esterni all’Unione per il 30,56%.
Sono soprattutto donne adulte, le fasce d’età maggiormente interessate sono quella 35-44 anni (30%) e 45-54 (25,38%).
Le forme di violenza subite sono multiple e riguardano soprattutto la violenza psicologica, corrispondente al 31,82% delle tipologie di violenza riferite dalle donne ai centri antiviolenza. Seguono, in termini di incidenza, la violenza fisica (24,03%), la violenza di tipo economico (12,7%) e lo stalking (7,2%).

I maltrattamenti nascono perlopiù in contesti familiari: sono infatti i mariti (35,74%) a essere indicati dalle donne come autori delle violenze; seguono i conviventi (13,57%) e, successivamente, gli ex-conviventi (7,91%).

Con riferimento ai servizi erogati, al primo posto vi è la richiesta di ascolto (28,1%), seguita dall’accoglienza (18,69%), dalla consulenza legale e dal supporto al percorso giudiziario (14,93%). Sono stati conclusi 129 dei percorsi avviati e gli obiettivi raggiunti vedono al primo posto l’autonomia abitativa (in 48 casi), al secondo l’autonomia economica (43 casi) e al terzo l’allontanamento dal maltrattante (38 casi).